Il Covid-19 sta mettendo a dura prova l’economia globale. Tra i settori colpiti diventa sempre più evidente il divario esistente tra le diverse industrie rispetto alla possibilità di cambiare o diversificare il proprio modello di vendita. Mettiamo a confronto il fashion e la mobilità. Durante la prima fase il settore moda ha subito un grave colpo con la chiusura di tutti i negozi fisici, accompagnato dall’assenza di canali alternativi. La corsa ai ripari ha premiato le aziende che erano già strutturate nella direzione dei canali digitali, facendo registrare un trend di consumi in continua crescita, con + 4,7 miliardi di acquisti di abbigliamento sui siti di ecommerce.
Non si può dire lo stesso per il settore mobilità, dove gli spostamenti delle persone sono stati condizionati dai decreti e dalla paura. Il periodo estivo ha visto l’assenza di 65 milioni di viaggiatori e la perdita di 4 viaggiatori internazionali su 5. È cambiata l’attitudine quotidiana delle persone verso gli spostamenti, con un calo diffuso nell’utilizzo di mezzi di trasporto collettivi, come il treno o lo sharing. Ma come si devono comportare le aziende della mobilità di fronte all’inquietudine delle persone?
In questo contesto deve nascere il concetto di “mobilità coerente”, cioè ridefinita in base alle necessità giornaliere dell’individuo, che possono variare quotidianamente nel tempo e nello spazio. Come per l’industria, sarebbe sicuramente sbagliato puntare sulle tipiche leve transazionali esortando i clienti a spostarsi, a prendere un treno o a guidare un’auto in sharing. Sarà necessario attivare strategie di loyalty, basate sull’ascolto e il caring, che aiutino il brand ad attuare un processo di riqualificazione della propria customer base. Parallelamente, però, è necessario rivedere il paradigma che regola il settore mobilità. Oggi la visione è servizio-centrica: l’utente può disporre di una moltitudine di servizi cui accede da differenti app, potendo godere dei vantaggi erogati da ciascun player. Tuttavia l’utente vive questi servizi come complementari, non alternativi: “uso lo strumento più adatto al luogo che devo raggiungere rispetto alla mia localizzazione geografica”.
Trasformare il modello in “cliente-centrico” permetterebbe alle società della mobilità di avere una vista più profonda sul cliente, di conoscere meglio le tratte percorse periodicamente, le attitudini allo spostamento, il mezzo utilizzato rispetto al contesto. Permetterebbe, quindi, di offrire all’utente attenzioni personalizzate rispetto al suo comportamento, come per esempio un buono delivery per l’ora di pranzo o un pricing dinamico per alcune ore del giorno, in accordo con le sue abitudini di mobilità. Si innescherebbe anche un meccanismo di cross-fertilization tra quei brand che considerano la modalità agile un’attitudine, non un servizio.
Come ci insegna Amazon, garantire un servizio ottimale e su misura è la forma
di loyalty più potente che si possa offrire. Che non sia tempo di ridisegnare i singoli servizi sulle esigenze del cliente in mobilità attraverso un unico progetto comune di behavioural loyalty?